Pierre François – Amatori e professionisti: una prospettiva sociologica
Pubblichiamo qui un breve riassunto del saggio di Pierre François, dal titolo “Che cos’è un musicista? Professionisti e amatori“.
Versione italiana del saggio sul sito di AASP – Associazione per l’Abolizione del Solfeggio Parlato. Traduzione a cura di Sergio Lattes.
La musica è portatrice di alcune specificità (storiche, familiari ed educative) che tendono a singolarizzare il rapporto tra musicisti professionisti e musicisti amatori. I musicisti amatori si trovano in una posizione paradossale nel sistema d’insegnamento, che contribuisce, imponendo loro un progetto professionale che è loro estraneo a priori, a fare dell’amatore una versione degradata del professionista. Preso in questa relazione paradossale, fatta di estraneità e di dominio, il mondo amatoriale – che in passato aveva una grande influenza su quello professionale – ha oggi ben poca influenza su quello professionale. Eppure – ciliegina sulla torta – oggi come nella Gran Bretagna del XIX secolo, la trasmissione dell’interesse per la musica è soprattutto d’iniziativa familiare e i Conservatori riescono solo in parte a “democratizzare” il settore.
Il paradosso storico
Innanzitutto, la pratica amatoriale musicale era ben impiantata nella vita sociale, da ben prima della pratica professionale della musica. Dunque la separazione tra dilettanti e musicisti ha origini storiche e si può dire che il secolo XIX fu il teatro della progressiva separazione delle figure che condividono la produzione musicale in Occidente: in effetti durante i periodi classico e romantico il musicista, sempre più virtuoso e specializzato, va progressivamente generando il musicista professionale moderno mentre si fa strada una categoria nuova, quella degli amatori, che allargandosi permetterà la costituzione dell’altro professionista della musica: il professore, l’insegnante.
In questo processo di professionalizzazione, l’amatore rimane nell’ombra e non ha altro da fare che di essere rigettato al di fuori dal triangolo disegnato dalla nuova divisione del lavoro musicale, definita nell’articolazione dei tre poli corrispondenti all’interprete professionale, al compositore e al professore. L’interprete professionale moderno nasce dalla distanza sempre maggiore che lo separa dall’amatore.
L’emersione dell’interprete professionale si accompagna al progressivo allontanamento fra amatore e compositore: perciò vicino al professore che l’amatore trova più facilmente il suo spazio, formando la figura di un amatore-allievo che istallerà rapidamente il musicista amatore nella posizione di un professionista degradato.
Il paradosso dell’istruzione
Un’altra particolarità della pratica musicale la distingue fortemente dalle altre pratiche amatoriali è che le modalità della sua socializzazione non avvengono tanto nel confronto col pubblico quanto nell’insegnamento/apprendimento e, più in generale, nell’inserimento in un progetto che le viene imposto dalle strutture preposte all’insegnamento.
Il mondo musicale amatoriale rimane relativamente impermeabile al mondo della musica professionale, ma tende a lasciarsi imporre, soprattutto dall’angolazione dell’insegnamento, un progetto di tipo professionale che gli è a priori estraneo. Presa in questo doppio sistema di tensioni – in rapporto alle altre pratiche amatoriali, e in rapporto ai professionisti della musica – la pratica musicale amatoriale definisce così la sua specificità, che è anche una difficoltà d’essere.
In proposito, in Questions de sociologie, Bourdieu individua due posizioni opposte, due concezioni completamente distinte della pratica e dell’insegnamento musicale:
- Il dilettante è una specie di versione degradata del professionista in cui sono assenti l’eccellenza tecnica e la sensibilità estetica.
- La competenza del professionista è l’estremo ultimo della competenza a cui arriva normalmente il dilettante; in altre parole, il professionista è la maturazione massima a cui un individuo arriva.
Uno degli aspetti che più fortemente distingue la musica dalle altre pratiche amatoriali (come il teatro, solo per fare un esempio) è proprio il ruolo che vi svolge l’insegnamento specializzato, che tende a ridurre in larga misura la pratica del musicista amatore a una logica di apprendimento.
Ora, questo apprendimento in Francia (ma anche in Italia) s’iscrive in un progetto che è immediatamente orientato verso l’eccellenza e la professionalizzazione. A domande di musica estremamente eterogenee, il Conservatorio risponde con un’offerta basata virtuosismo tecnico e comprensione intellettuale della musica, insomma un tipo di formazione che inserisce la pratica amatoriale in una prospettiva professionale. Prospettiva che risulta sorprendente quando si considera che il mondo professionale resta estraneo alla grande maggioranza degli amatori, visto che la maggior parte degli amatori non desidera affatto entrare a far parte del mondo professionale.
Malgrado lo spazio occupato dall’insegnamento e dal “progetto professionale” che da esso viene proposto, la pratica musicale amatoriale ha potuto, e può ancora pensarsi al di fuori dal questo quadro. Collocarsi fuori dall’insegnamento, liberarsi dall’imperativo di eccellenza e di virtuosismo e invece concentrarsi su una pratica più immediata, meno intellettuale e meno virtuosistica, rivalorizzare la pratica come fine a se stessa: questi potrebbero essere i tratti per definire un “contro-modello” da opporre – o da giustapporre – a quello dei Conservatori.
Il paradosso familiare
La terza serie di particolarità ha a che vedere con la particolare iscrizione della pratica musicale nel ciclo della vita, e con gli effetti generazionali. Questi ultimi nel caso dei musicisti sono in effetti meno marcati che non per gli altri amatori: tutte le pratiche amatoriali hanno conosciuto un crescita molto importante a partire dagli anni ‘60, mentre – come abbiamo già detto – la pratica amatoriale musicale era ben impiantata nella vita sociale da ben prima.
Eppure oggi come nella Gran Bretagna del XIX secolo, la trasmissione degli impieghi e della conoscenza della musica è soprattutto familiare: i Conservatori hanno sicuramente un ruolo nel democratizzare la musica (più delle sale da concerto perlomeno), ma la loro influenza resta debole, in particolare a fronte dell’eredità familiare.
L’iscrizione della pratica musicale nel ciclo della vita è infatti segnata da un paradosso che distingue doppiamente la pratica musicale dalle altre pratiche artistiche amatoriali. Da un canto, di tutte le attività artistiche la musica è quella più collegata all’infanzia: la pressione familiare gioca un ruolo determinante nella decisione di suonare uno strumento, e l’eredità familiare è molto forte – un individuo ha più possibilità di essere un musicista amatore quando proviene da una famiglia dove la musica era praticata. Il collegamento con l’infanzia ha anche direttamente a che vedere con il peso dell’insegnamento nella pratica musicale amatoriale, e si ritrova nell’alto tasso di abbandono precoce di un’attività che non necessariamente era stata scelta dal bambino. Da un altro canto, ciononostante fra tutte le attività artistiche la musica è più spesso quella che dura tutta la vita: se non l’hanno abbandonata nei primi anni di apprendistato, i musicisti amatori continuano a praticare la musica per tutta la vita. Questa iscrizione paradossale nel ciclo della vita tende a conferire alla pratica musicale una posizione singolare fra le pratiche amatoriali.
Conclusioni
Questi tre paradossi rendono più che in altri campi complicato stabilire un confine tra dilettanti e professionisti. Il fatto che il professionista produca musica di mestiere e che tragga un guadagno da quest’attività mentre il dilettante eserciti la musica solo per piacere e a fini personali, dà un’idea parziale e un po’ troppo rigida della realtà, spesso contraddetta dai tipi di rapporti (storici, familiari, educativi) che si creano tra i cosiddetti dilettanti e i professionisti e dagli aspetti che hanno o non hanno in comune.