The singing revolution – Con la musica si può fare la rivoluzione
La maggior parte di noi associa con fatica la musica alla rivoluzione. Ma in Estonia la canzone è stata l’arma con cui, in modo del tutto pacifico, tra il 1987 e il 1991, la popolazione ha posto fine a decenni di occupazione sovietica, riconquistando la propria indipendenza. Una delle dimensioni strategiche più interessanti del movimento indipendentista nonviolento estone è stata infatti la sua enfasi sulla cultura e sulla creatività.
La tradizione corale estone
La musica, in primis la ricca tradizione corale del paese, ha avuto un ruolo centrale nel produrre un senso di unità, sfida e speranza. Non è dunque un caso che, sebbene sia uno dei paesi più piccoli del mondo (dal 2009 la popolazione era stimata in circa 1,3 milioni di persone), l’Estonia abbia anche uno dei più grandi repertori di canzoni popolari al mondo e che gli estoni abbiano usato la loro musica come arma politica per secoli. Le canzoni furono usate come protesta contro i conquistatori tedeschi fin dal XIII secolo e come atto di resistenza contro l’esercito di occupazione dello zar russo Pietro il Grande nel XVIII secolo.
Dal 1869, poi, gli estoni hanno dato vita a un festival annuale di canzoni noto come Laulupidu, durante il quale cori provenienti da tutto il paese si riuniscono per una celebrazione di più giorni di musica corale, con ben 25.000 persone che cantano sul palco contemporaneamente. Questo festival, che ha attirato folle di centinaia di migliaia di persone, divenne la pietra angolare della resistenza contro l’occupazione sovietica, quando – oltre a cantare le canzoni richieste che elogiavano lo Stato e il Partito comunista – gli organizzatori sfidarono i funzionari sovietici includendo canzoni e simboli nazionali vietati dal regime.
Gli estoni hanno anche dato prova di grande creatività durante queste manifestazioni. Ad esempio, quando ancora la bandiera nazionale era illegale, la folla brandiva striscioni monocromi blu, bianchi e neri (che presi separatamente erano perfettamente legali) per poi ricomporre la bandiera sul posto!
Le Repubbliche baltiche furono forzatamente incorporate all’URSS, prima nel giugno del 1940, poi nuovamente nel 1944. Dopo la seconda occupazione, Stalin iniziò subito la “russificazione“, impostandola su un doppio binario: la soppressione della cultura estone da un lato (divenne illegale anche la bandiera estone blu, bianca e nera) e l’incoraggiamento dell’immigrazione russa dall’altro (i russi alla fine raggiunsero il 40% della popolazione totale del paese).
La rivota del 1953
Alcuni estoni scelsero di condurre un’insurrezione armata contro l’occupazione sovietica, ma la rivolta dei Metsavennad (Forest Brothers) fu repressa nel sangue nel 1953. Il seme della rivolta giacque dunque a lungo sopito, serpeggiante nei canti e nelle musiche popolari.
Infatti, già nel 1947, in occasione del Primo Festival della Canzone Estone (Laulupidu) dell’era sovietica (la sesta edizione complessiva), furono inserite obbligatoriamente nel programma canzoni in lingua straniera, ossia in russo. Tuttavia fu proprio in questa occasione che Gustav Ernesaks scrisse una melodia per il testo del poema nazionale secolare di Lydia Koidula, “Mu isamaa on minu arm” (“My Fatherland is My Love”). Il poema fu musicato per la prima volta nel 1869, in occasione del primo Festival della Canzone Estone, ma la versione del 1947 divenne talmente celebre da essere considerata quasi un inno nazionale ufficioso: questa canzone intrisa di nazionalismo, passata inosservata per miracolo dalla censura sovietica, divenne con il tempo il simbolo del desiderio di emancipazione di tutta la popolazione. Ecco il testo in inglese:
My fatherland is my love,
To whom I’ve given my heart.
To you I sing, my greatest happiness,
My blossoming Estonia!
Your pain boils in my heart,
Your pride and joy makes me happy,
My fatherland, my fatherland!
My fatherland is my love,
I shall never leave him,
Even if I must die a hundred deaths
Because of him!
Though foreign envy slander you,
You still live in my heart,
My fatherland, my fatherland!
My Fatherland is My Love,
And I want to rest,
To lay down into your arms,
My sacred Estonia!
Your birds will sing sleep to me,
Flowers will bloom from my ashes,
My fatherland, my fatherland!
A dire il vero, la canzone non fu subito ammessa nel programma del festival, ma all’inizio degli anni ’60 gli estoni iniziarono a cantarla in modo provocatorio contro i desideri sovietici e nel 1965 fu inclusa nel programma. Non solo: quattro anni dopo, in occasione del centenario della nascita del festival, nel 1969, i cori sul palco e il pubblico iniziarono a cantare a ripetizione “Mu isamaa sul braccio del minu”, i sovietici ordinarono ai cori di lasciare il palco, ma nessuno si mosse. I sovietici ordinarono allora alla banda militare di suonare per coprire le voci dei cantanti, ma ancora una volta cento strumenti non potevano competere con oltre centomila cantanti e la canzone fu ripetuta più volte di fronte alle autorità sovietiche, a cui non restò altro da fare se non invitare il compositore sul palco a dirigere il coro per l’ennesimo bis e cercare di ostentare che questo accadesse grazie al loro permesso e alla loro benevolenza.
La perestroika di Gorbachev
Questa situazione da “guerra fredda” rimase tale fino a quando Mikhail Gorbachev non introdusse la glasnost (apertura) e la perestroika (ristrutturazione) nel 1985, aumentando le libertà politiche nell’Unione Sovietica. Fu in questi anni che cominciò la vera e propria Singing Revolution, “Laulev revolutsioon” in estone. Il termine, ripreso anche da un documentario del 2006 degli americani James Tusty e Maureen Castle Tust, fu coniato dall’attivista e artista estone Heinz Valk in un articolo pubblicato in un settimanale dopo le spontanee e pacifiche manifestazioni di massa del 1988. Per estensione, oggi si usa per indicare l’importante ruolo delle canzoni patriottiche nei simili processi di recupero dell’indipendenza avvenuti anche in Lettonia e in Lituania. Heinz Valk coniò anche un altro celebre slogan dell’epoca “Un giorno vinceremo in ogni caso” (in estone: Ükskord me võidame niikuinii), emblema dello sforzo e della lotta pacifica, ma fermamente determinata, per l’indipendenza e la libertà.
Negli anni del disgelo le nuove politiche di Gorbachev portarono alla luce tre aspetti cruciali che contribuirono significativamente a peggiorare una situazione già sotto tensione da decenni, portando alle prime pubbliche esplosioni di protesta e alle prime azioni politicamente decisive da parte delle popolazioni non russe dei paesi baltici:
- La clausola segreta del Patto Ribbentrop-Molotov che poneva gli Stati Baltici nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica fu pubblicamente ammessa dal governo centrale di Mosca e comunicata all’opinione pubblica mondiale, causando una profonda insoddisfazione nelle popolazioni baltiche occupate, che culminò in Estonia in una grande manifestazione all’Hirve Park di Tallinn.
- Vennero aspramente criticate e considerate una minaccia all’identità culturale delle popolazioni baltiche le politiche demografiche del governo sovietico, che favoriva l’immigrazione di gruppi etnici stranieri per apportare manodopera a progetti di sviluppo e sfruttamento economico industriale delle ricchezze naturali, come l’estrazione di fosfati in Estonia (Toivo U. Raun, Estonia and the Estonians, Hoover Press, 2001, p. 223).
- L’aumento delle libertà politiche portò il popolo estone a stabilire rapporti sempre più stretti con l’occidente, grazie anche all’aiuto delle comunità di emigrati. Si svilupparono così legami informali, ma sempre più proficui, tra Estonia e Finlandia, facilitati anche dalla lingua e dalla simile cultura ugrofinnica e fu ammessa la ricezione della televisione finlandese che contribuì a mostrare agli estoni l’avanzato stile di vita dell’occidente.
Tutto questo, unito al fatto che all’alba degli anni novanta i paesi baltici restavano ancora l’unico caso di occupazione straniera presente in Europa, portò a incrementare ulteriormente l’insoddisfazione verso il sistema sovietico e provocò vivaci dimostrazioni di massa con repressioni dei dissidenti, dei nazionalisti, delle comunità religiose e dei normali cittadini.
L’inizio della “Singing Revolution”
Tutto cominciò con una campagna di protesta di massa contro l’estrazione mineraria di fosfato (la cosiddetta “guerra ai fosfati”) nella primavera del 1987: il giovane compositore Alo Mattiisen (1961-1996) e il poeta Jüri Leesment (1961) scrissero una canzone, “No Land Is Alone”, che esaltava il legame tra tutti gli estoni e la loro solidarietà con gli abitanti di Virumaa, in prossimità dell’area di destinazione delle miniere. Diversi versi della canzone furono cantati dalle pop star più amate del tempo e divennero rapidamente popolari.
Il 14 maggio 1988, una seconda espressione del ritorno del sentimento nazionale si creò durante il Festival di Musica Pop a Tartu. Un ciclo di canzoni Five Patriotic Songs, creato da Mattiisen e Leesment, parzialmente basato su cori patriottici centenari, divenne particolarmente popolare. Tratto comune a tutti questi brani era il fatto che i testi sottolineavano l’importanza dei sentimenti di solidarietà e aderenza alle tradizioni delle persone e richiamavano l’attenzione su problemi di attualità, come l’indifferenza delle autorità e l’aumento dell’immigrazione. Durante il Festival, le cinque canzoni furono suonate, la gente estone si prese per mano e la tradizione ebbe inizio.
Nel giugno 1988, 100.000 estoni si riunirono per cinque notti per cantare canzoni di protesta fino all’alba. Il Festival, organizzato nella Città Vecchia di Tallinn, continuò infatti nell’arena del Festival della Canzone, dove i partecipanti iniziarono a cantare inni patriottici severamente proibiti dai sovietici. Cantare “Mu Isamaa On Minu Arm” ai festival “è la forma più gloriosa di autoespressione della nostra nazione”, ha scritto l’attivista Heinz Valk quel mese. “Una nazione che fa la sua rivoluzione cantando e sorridendo dovrebbe essere un esempio sublime per tutti”. Anche il 26-28 agosto del 1988, al Festival Rock d’Estate, si cantarono canzoni patriottiche composte da Alo Mattiisen.
Il repertorio rivoluzionario
Dopo questi primi episodi venne messo insieme un intero repertorio “rivoluzionario”, composto da una ventina di canzoni. C’erano canzoni del periodo del risveglio nazionale nel tardo XIX secolo, non poteva mancare ovviamente “Mu isamaa on minu arm”, ma c’erano anche canzoni pop contemporanee di generi diversi (rock, folk, ecc.). Cantare in pubblico quelle canzoni sarebbe stato – solo qualche anno prima – un gesto punibile dalla legge. Tuttavia durante gli anni della rivoluzione tutte queste canzoni furono ripetutamente cantate in grandi raduni pubblici: le autorità sovietiche volevano vietarli, ma non erano sicure di cosa fare alla luce del glasnost e le popolazioni baltiche presero coraggio: se non veniva versato sangue, Gorbaciov non sarebbe stato in grado di inviare carri armati per annullare le dimostrazioni. Anche per questo la Singing Revolution fu un movimento del tutto non violento. Questo forte impegno verso la non violenza resistette anche di fronte a serie provocazioni: quando centinaia di russi filo-sovietici hanno occupato il parlamento estone nel maggio 1990, come parte di un tentativo di colpo di stato, decine di migliaia di cittadini hanno circondato l’edificio in poche ore, ma hanno permesso un passaggio sicuro attraverso il quale gli occupanti russi potessero andarsene incolumi.
Uno degli eventi emblematici della rivoluzione fu il Festival della Canzone Estone organizzato a Tallinn l’11 settembre 1988, a cui parteciparono più di 300.000 persone, più di un quarto di tutta la popolazione estone. In quell’occasione erano presenti anche leader attivi politicamente e per la prima volta si sentì parlare di restaurazione dell’indipendenza.
La reazione sovietica e l’indipendenza
Il 16 ottobre 1988, il corpo legislativo dell’Estonia sancì la dichiarazione di sovranità estone. Nel 1990 l’Estonia fu la prima repubblica a sfidare l’armata sovietica offrendo servizi militari alternativi ai residenti estoni, registrati per il servizio militare.
La Rivoluzione Cantata (in estone: laulev revolutsioon) continuò per quattro anni, con varie proteste e coraggiosi atti di sfida. Il 23 agosto 1989, il cinquantesimo anniversario dell’acquisizione delle tre repubbliche baltiche da parte dei sovietici, ben 700.000 estoni, mezzo milione di lettoni e un milione di lituani si sono presi per mano in un’unica catena umana che univa tutti e tre i paesi in uno spettacolo di solidarietà che divenne noto come Chai Baltico.
Nel 1991 quando i sovietici tentarono di fermare il percorso estone verso l’indipendenza, il Soviet supremo estone insieme al Congresso d’Estonia proclamarono la restaurazione dello stato indipendente, ripudiando la legislazione sovietica.
L’indipendenza estone fu dichiarata la sera del 20 agosto 1991, dopo che furono raggiunti gli accordi fra i differenti schieramenti politici. La mattina successiva le truppe sovietiche tentarono di colpire la ETV estone di Tallinn, ma non ebbero successo: piuttosto che cedere le stazioni Radio e Tv la popolazione si schierò pronta ad immolarsi come scudo umano.
Fu così che l’Estonia riguadagnò la sua indipendenza cantando, senza spargimenti di sangue.